Se penso alla desolante immagine delle zone industriali del nord Italia, dove la metà dei capannoni è vuota e inutilizzata, non riesco ad immaginare altro che la necessità di trovare una soluzione a questo triste paesaggio dismesso.
Parto da un’analisi di base: sono volumi, mediamente di grandi dimensioni e sostanzialmente vuoti o eventualmente occupati da macchinari. Fanno parte di aree urbanizzate e collegate con infrastrutture viarie disegnate per mezzi pesanti. Sono costruiti in cemento prefabbricato e contornati da aree impermeabili di asfalto. Delle vere e proprie isole di calore di paesaggi artificiali.
Inoltre sono spesso il risultato tangibile di fallimenti e delocalizzazioni, che restano in pancia alle banche con il termine di NPL, crediti deteriorati, difficilmente esigibili.
Ritornare alla natura e immaginare il suolo occupato dai capannoni come un suolo agricolo ma protetto!
A causa dei cambiamenti climatici, il territorio è a rischio e difficilmente proteggibile, mentre i capannoni sono solidi, sono superfici esposte all’energia solare ma protette dai venti e dalle alluvioni.
Perché non immaginare una nuova agricoltura dentro questi voumi vuoti?
Questa è la proposta e la sua declinazioni in Economia Circolare, che lega agricoltura ed edilizia industriale.