L’impossibilità di spostarsi e di relazionarsi con gli altri in libertà impone di ripensare i nostri modelli sociali ed economici.
La pianificazione delle strategie riguardanti la produzione, la distribuzione e l’utilizzo delle risorse subirà dei cambiamenti epocali e tutta la relativa filiera ne dovrà obbligatoriamente subire le conseguenze.
Credo che sia utile rivedere la relazione tra tra il territorio e le città per comprendere come questi due modelli finora contrapposti debbano necessariamente ritrovare un’armonia di obiettivi e di vedute, senza prevaricazioni.
Le città dei servizi, della finanza, dell’economia digitale, delle metropoli autosufficienti, della densificazione e dell’accumulo delle risorse immateriali, oggi stanno facendo i conti con quanto di più materiale vi possa essere: la salute delle persone.
Al contempo, i territori delle infrastrutture carenti, della produzione settorializzata e monocolturale, dei borghi abbandonati e delle case a 1€, ritornano ad essere oggetto di attenzione per la loro capacità di essere parte di una risposta.
Oggi vivere in campagna è un lusso: spazi ampi interni ed esterni, qualità dell’aria, prodotti locali, … significa alimentarsi, ripararsi e abitare in un contesto di bellezza e sicurezza che le città non possono più offrire.
Il limite fisico delle città e della densità si scontra con questa situazione dove le possibilità di propagazione di un virus sono tanto più alte quanto più limitato è lo spazio a disposizione. Tutto quanto è stato accentrato, organizzato e densificato non funziona più e richiederà enormi sforzi per adattarsi a questo nuovo mondo (vedi i grandi centri commerciali, ai grandi ospedali, ai grattacieli per uffici e ai complessi residenziali da centinaia di microalloggi privi di servizi comuni e di spazio per la persona).
Immaginare il recupero dei borghi, delle produzioni/distribuzioni/consumi locali in termini di cibo, energia, mobilità, significa ripensare gli investimenti anche in favore di quelle realtà che ad oggi sono poco interessanti dal punto di vista del PIL, ma che invece potrebbero rivestire grande interesse dal punto di vista della qualità della vita.
Non si tratta di uno svuotamento delle città ma di un riequilibrio dei loro pesi, tale da consentire di usare al meglio quanto già c’è e possibilmente migliorarlo dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Infrastrutturare i territori per consentire il telelavoro da abitazioni con giardino, significherà ridurre gli spostamenti inutili, limitare l’inquinamento e generare un’economia alternativa e sostenibile.
Non è un ritorno al passato ma ad una spinta verso un futuro di benessere nel quale i territori e i borghi si relazionano con gli agglomerati urbani sfruttando la meglio le loro differenze e generando sinergie positive. Autonomia energetica, alimentare e qualità della vita e del lavoro significa rivedere il sistema della distribuzione ottimizzando quello che c’è e spingendo verso un vero “Green New Deal”.
Serve aggregare persone, dati, conoscenze e competenze utili a immaginare questo presente non più prorogabile.
Serve un nuovo patto tra città e territorio.